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King Surfer Magazine

King Surfer Magazine ’97 – Intro 12

Luglio ’97: sono da poco passati i primi giorni di questo mese così caro agli italiani. Caldo, ferie, per molti vacanze di surf. Non oso immaginare la miriade di noi surfisti riversati sulle spiagge d’oltreoceano, per godere le onde tanto sognate. Una mega scorpacciata di surf per poter tirare avanti fino alla mareggiata successiva. Sì, perché quella successiva sarà in Italia e, volenti o nolenti, qui è differente. Differente soprattutto per chi vive il surf solo nel suo estremismo, nelle sole competizioni e in tutto quello che sembra “fare surfista”.

Mentre la scorsa estate, degli amici mi avevano trascinato alla ricerca di onde europee, anche per dimenticare una persona a me cara, quest’estate ho volutamente deciso di vivere con la mia città, con il mio mare. Ho rallentato il lavoro per cercare di vedere e capire qualcosa di più.

Sono state circa quaranta le manifestazioni che si sono tenute a Roma in questa grande estate della capitale. Rutelli “forse” avrà guadagnato più voti, ma ciò che conta maggiormente è che la nostra Roma abbia guadagnato quello che più si addice ad una città capitale così bella: la vita. Il mare, dal canto suo, non ha deluso i vacanzieri riversati sulle coste italiane; bel tempo, acque calme da canotto e genitori più rilassati nel vedere i propri pargoli giocare in acqua, senza troppi pericoli. Ogni cosa sembra aver fatto la sua parte.

Anche noi della rivista e dell’associazione abbiamo cercato il nostro tempo in quest’estate così calda, comunicando vita con la nostra presenza (stand) alle varie manifestazioni. Anche noi abbiamo fatto la nostra parte aspettando l’autunno per partecipare a quello che io stesso considero la parte più bella del surfing: la combinazione degli elementi. Da una parte c’è la natura che riesce, nel suo ecosistema, a generare il moto ondoso, dall’altra l’uomo e l’attesa del suo giorno, con la tavola e la passione che lo spingono ad esserci, sempre.

Vorrei riuscire a mostrare al più piccolo, al novizio che surfare è anche saper aspettare, attendere senza dannarsi, saper dormire soli nella macchina con la propria tavola in attesa del chiarore dell’alba (Mastino, del noto ristorante di Fregene, non aspetta nemmeno più quella!!!) e non trovarsi lì per caso o per una gara. Ne sarebbero tutti capaci, in qualsiasi momento. Diventa tutto naturale per chi lo vive realmente senza perdersi in programmi, organizzazioni e senza decantare ciò che si riesce a percepire in solitudine.

Queste parole non sono per standardizzare qualcosa, ma per trasmettere quello che sono arrivato a capire dopo tanti anni di surf.
In Italia le spiagge più conosciute, nei giorni di mareggiata, sono spesso affollate di macchine e furgoni in sosta dalla notte precedente, quando non ci sono è solo fortuna, la fortuna di godersi quell’alba soli con quello che si ama di più. Ecco perché bisogna allenarsi in qualsiasi modo; per ritrovarsi sicuri delle proprie energie in quei giorni in cui non si deve dimostrare nulla a nessuno…
Solo a noi stessi mostriamo il vero lato… Surfare non è un modo per mostrarsi, ma un modo per condividere il mare o la montagna con una segreta ed intima sintonia tra uomo e natura.

Piazzola 450 è stata la mia residenza estiva di ferragosto. Una tenda, una coppia di amici ed una tavola mi hanno visto una settimana sulle spiagge di Anglet (Biarritz).

Da dodici mesi mancavo dal grande Oceano, sono stati lunghissimi, avevo perso naturalmente qualcosa, non avevo più la stessa familiarità. Se parliamo di contributi taciti che si pagano ogni volta che si va in acqua, credo di averli dati tutti il primo giorno di surf arrivato a “Les Cavaliers”. Infatti dalle 18:00 alle 21:00 sono stato il “grande protagonista” di quanto io possa essere un piccolo puntino anche con la mia avanzata età.

Potrei dire di essere entrato con più di due metri, ma non sono più un “bagnante” da molto tempo. Erano onde che oscillavano tra il metro e mezzo e i due metri, quelle che ti superano la testa di ancora un braccio nel punto esatto dove rompe l’onda che non sempre rompe alla sua base. IL difficile non era tanto prenderle, ma l’arrivare fuori lucido, superando con la classica “duck dive” (immersione della tavola con il corpo al sopraggiungere delle onde che rompono) i schiumoni che rompevano. L’affollamento in acqua ha contribuito alla “selezione” delle onde.

Tre ore = tre onde, peggio non poteva andare anche se quelle tre erano delle vere “signore” e sapevo che stavo risvegliando il mio corpo a quel tipo di masse d’acqua. Tre ore di duro allenamento e per che cosa? Il giorno seguente l’acido lattico nei muscoli si è fatto sentire, le onde non ancora perfette mi hanno dato la possibilità di divertirmi senza grandi preoccupazioni. Tutto, in effetti, si doveva ancora assestare.

Terzo giorno. Il grande giorno, quello per cui le tre ore del primo e la voglia di tornare in forma dovevano fruttare qualcosa.
Leggero vento da terra, rendevano quel metro e mezzo-due di moto ondoso, così perfetto da aprire lunghe pareti destre e sinistre.
Le situazioni si “ripetevano”, ma questa volta avevo dalla mia un risveglio muscolare, maggior rispetto e quindi maggior familiarità con l’Oceano. Anche il mio 6.5 “pin tail” era pronto.

Uscito fuori e superate le prime confidenze con alcune surfate per capire bene le onde, su una di esse il grande attacco; parete ripida (il binomio con la tavola pin tail), destra, lasciata da tutti o tutti n attesa di quello che avrei fatto (ero nel punto esatto di precedenza per la parete destra), due bracciate e poi il vuoto…
La tavola con la sua poppa avevano retto, il mio corpo non ha avuto esitazioni, la posizione era quella giusta, l’onda con la sua spinta non mi avevano fatto vacillare, il peso del mio corpo dava il giusto assetto ed i piedi spingevano affinché il rail (bordo della tavola) penetrasse pulito nell’onda. Ero partito e mi ritrovavo su una parete d’acqua perfettamente liscia e pulita, questo era ciò che il front side sull’onda mi dava possibilità di vedere. (Le onde destre mi lasciano surfare con la posizione di avere il piede sinistro avanti ed il mio corpo rivolto alla faccia dell’onda. Back side nel mio caso è avere la schiena rivolta alla parete sulle onde sinistre).

Perfettamente piegato in cerca di velocità vedevo la parte alta dell’onda rompere verso le mie spalle, gocce d’acqua che mi oltrepassavano il corpo e i miei occhi brillavano, paura per un forte wipe out causato dalla schiuma che mi avrebbe colpito, ma l’istinto di mettere la mano in acqua e rallentare la corsa è stato più forte di me.

Dovevo fare in modo che la velocità di rottura dell’onda non superasse la velocità della mia tavola, dovevo solo trovare la sincronia e l’armonia di surfare quell’onda. Dalla forte luce che c’era, dai rumori che arrivavano dalla spiaggia e dalle onde, tutto è cominciato a cambiare, un grande vortice come un cilindro che chiudeva e mi nascondeva, senza farmi abbassare, al suo interno. Tutto si era ovattato, la luce era filtrata dalle verdi pareti d’acqua, un incanto….

A parte questo non vedevo nient’altro che una finestra verso cui correva la mia tavola attraverso la quale vedevo i bagnanti divertirsi tra le bandierine che i lifeguards del luogo dispongono per loro. Ero solo più che mai, mi divertivo, adrenalina e senso di unione mi stavano facendo assaporare di nuovo quello per cui continuo a scrivere  e a trasmettere passione per questo sport perché anche i più nazionalistici francesi strillano e salutano all’uscita da un tubo ben profondo. E sappiamo tutti le loro “simpatie” nei confronti di noi italiani!

Ognuno interpreta il surf come crede, ognuno è libero di praticare ciò che vuole, io farò solo in modo di essere sempre presente, nel mio piccolo e nei miei limiti senza nascondermi, dalla parte interna di finestre senza vetri. Troppe riviste, troppe associazioni o federazioni, troppe persone che vogliono imporre i propri interessi. Se per arrivare a far vedere quella “finestra” al più piccolo praticante dovessi perdere ogni volta la mia familiarità con l’Oceano, lo farei.
Lo farei anche sentendo le sue critiche di fronte all’ampliamento di vedute di King Surfer Magazine. Perché solo così si arriverà a vedere, sentire e provare ciò che io stesso ritengo importante per l’evoluzione di un surfista.

Anche da un più piccolo oblò si può arrivare a vedere e costruire un minimo di cultura italiana di una passione originaria d’oltreoceano. King Surfer Magazine sarà solo una finestra in più sul mondo del surfing, ma aperta alla nostra amata patria.

Carlo Azzarone
21 Settembre 1997

da King Surfer Magazine  – “Settembre 1997”

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